APERTA UNA CAUSA DI BEATIFICAZIONE A CARICO DI MARIA BEATRICE D’ESTE REGINA D’INGHILTERRA E NIPOTE DEL CARDINALE MAZZARINO.
UN MOTIVO D’ORGOGLIO PER OGNI ITALIANO E UN ESEMPIO PER TUTTI I CATTOLICI
Il suo ricordo merita di essere richiamato e portato come nobilissimo esempio non tanto per il popolo inglese, ma per tutti i cattolici, quale insigne paladina della Fede Cattolica.
Oggi scarsamente ricordata nella città, che le aveva dato i natali, nel 1658, Maria Beatrice Eleanor Anne Margaret Isabella D’Este, figlia del duca Alfonso IV e di Laura Martinozzi (una delle celebri “mazzarinettes“, le chiacchierate nipoti del cardinale Mazzarino) fu regina d’Inghilterra, assieme al consorte Giacomo II Stuart, proprio in quel periodo storico in cui andava affermandosi il modello dello stato rappresentativo, a scapito della monarchia assoluta di diritto divino.
I documenti consultati dalla Prof. Loredana Riggi (docente di Lingua Inglese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania) che dopo aver condotto un accurato studio oggi appoggia la causa di beatificazione della sovrana, hanno confermato «che il padre del cardinale fu Pietro Mazzarino, un nobile di sicura origine siciliana », notaio ed intendente di casa Colonna. Filadelfo Mugnos fa derivare lo stipite dei Mazzarino dalla Reale Casa Normanna di Sicilia sempre vissuti col dominio della terra di Mazzarino. La famiglia Mazzarino «ebbe sicura origine negli anni intorno al 1250 nell’omonima città siciliana», con Giovanni Mongialino (1287), eroe del Vespro Siciliano, diretto discendente del conte Enrico di Lombardia, il quale, dopo essere stato espulso da Mazzarino con la sua famiglia, per “grazia” concessa da Maria Santissima del Mazzaro, ritorna in città, si appropria dei propri possedimenti ed adotta il nuovo cognome di “Mazzarino”, divenendo capostipite della famiglia siciliana “dei Mazzarino”, che «circa tra secoli dopo diede i natali al cardinale Giulio Raimondo Mazzarino
Cresciuta ed educata nella piccola ma raffinata corte modenese, Maria Beatrice assimilò l’amore per la cultura di ascendenza umanistica, ma anche il rigorismo cattolico.Poco più che bambina, Maria Beatrice aveva espresso la volontà di seguire la sua sincera vocazione religiosa e di prendere i voti, per potere essere ammessa al Convento della Visitazione, edificato per volontà materna nei giardini del palazzo ducale, quando, appena quattordicenne, venne proiettata nello scenario internazionale, attraverso quel peculiare aspetto della politica seicentesca, rappresentato dalle alleanze matrimoniali, che obbedivano sempre a criteri di opportunità diplomatica, e che sottendevano logiche di prestigio.
Luigi XIV, il “Re Sole“, appoggiato da papa Clemente X che le indirizzò un breve, nel quale la esortava ad accettare la proposta di matrimonio dello Stuart, essendo una coppia di sovrani cattolici, uno strumento ideale per contrastare la religione riformata, all’epoca trionfante in Inghilterra, per ragioni politiche voleva favorire il ritorno del Cattolicesimo in Inghilterra e pensò quindi di ottenere ciò anche facendo sposare al principe di York, Giacomo II Stuart, che era cattolico, una principessa cattolica. All’epoca in Inghilterra regnava Carlo II, ormai vecchio e senza figli, alla cui morte il trono sarebbe dovuto passare al fratello Giacomo II, quarantenne, vedovo e con due figlie femmine.
Luigi XIV voleva una donna di nobile e antico casato, cattolica, devota ed osservante, che risultasse gradita al duca di York e gli assicurasse una numerosa prole ed altrettanto numerosa discendenza. La scelta cadde su Maria Beatrice che, già votata a farsi suora, non ne voleva però sapere. La madre inizialmente l’appoggiò, ma ormai tutto era deciso e a risolvere la questione fu l’intervento del papa, che fece sapere a Maria Beatrice che sarebbe stato più meritorio e utile per la Chiesa cattolica sposare il futuro re d’Inghilterra piuttosto che entrare in convento. Maria Beatrice acconsentì al volere del papa.
Il 30 settembre 1673, a Modena, il quarantenne Giacomo II sposò per procura la quindicenne principessa d’Este, senza sfarzo e festeggiamenti, quasi in segreto. Qualche giorno dopo la madre, che era reggente del ducato per il figlio tredicenne, Francesco II, partì con la sorella per Londra, accompagnata dallo zio, il cardinale Rinaldo, e dagli ambasciatori, facendo tappa a Parigi dove fu ospite alla corte del Re Sole. La sosta a Parigi doveva essere breve ma si prolungò per diverso tempo poiché il parlamento inglese temendo il pericolo di un ritorno al cattolicesimo favorito da quel matrimonio stentava a concederle il permesso d’entrata, in ragione del suo essere cattolica, circostanza che la rendeva poco gradita, se non addirittura invisa. Dopo estenuanti e accesi dibattiti, infine, la riserva venne sciolta e la duchessa di York poté approdare a Dover nel Dicembre di quel medesimo anno, per conoscere il marito. Il primo incontro tra i due coniugi non avvenne sotto i migliori auspici e parve confermare coloro che avevano espresso dubbi circa l’opportunità dell’unione: se Giacomo rimase colpito dalla grazia adolescenziale e dall’eleganza innata di Maria Beatrice, l’impressione positiva non poté dirsi reciproca, per lei che, giovanissima si ritrovò sposata ad un uomo assai poco avvenente e per nulla brillante, oltre che di ben venticinque anni più vecchio. Dopo essere stati ammessi e presentati a corte, dove un banchetto venne offerto in loro onore, i duchi di York presero alloggio nel palazzo di St. James, che, edificato per volere di Enrico VIII, all’interno del parco omonimo, era già stato residenza di reali, ma che rispetto al livello qualitativo consueto nell’architettura italiana della seconda metà del Seicento risultava austero e spoglio.
Pertanto, la duchessa si circondò di pittori, scultori e arredatori allo scopo ingentilire la nuova dimora, operazione nella quale dimostrava di possedere un’attenzione per l’estetica, tutta italiana, che la qualificava quale degna discendente della casa d’Este, che aveva dato i natali a molti e celebrati mecenati e cultori delle arti. Seguendo la consuetudine dell’epoca per quanto concerneva i dibattiti intellettuali, Maria Beatrice a palazzo St. James animò un salotto letterario, in cui persone legate da affinità sociali e culturali si incontravano sistematicamente per discutere di poesia, filosofia ed arte, finendo per dar vita ad una sorta di circolo informale, che favoriva le circolazione delle idee e degli orientamenti più innovativi del pensiero. Intelligente e colta, dolce e al contempo volitiva, la duchessa di York si adoperò in ogni modo per guadagnarsi la benevolenza della nuova famiglia, facendo ricorso alle proprie capacità di ambientazione: si adattò rapidamente alle abitudini di palazzo, imparò un inglese impeccabile, si mostrò sempre allegra e compiacente, discreta ed affettuosa anche con coloro che erano prevenuti nei suoi confronti.
Riuscì a stabilire un’ottima intesa col sovrano Carlo II e tentò con minore successo di entrare nelle grazie di sua moglie Caterina di Braganza e delle figlie di primo letto di Giacomo, Maria e Anna, per le quali ebbe sempre la tenerezza e le attenzioni di una madre. Anche il rapporto con il marito andava migliorando, l’affetto che questi le dimostrava l’avevano col tempo aiutata a superare la repulsione iniziale ed in lui aveva scoperto ed imparato ad apprezzare qualità quali la tenacia, il coraggio e l’abnegazione assoluta nel perseguire la realizzazione dei propri ideali.
Nel Gennaio 1675 nacque la prima figlia dei duchi di York, Caterina Laura, battezzata secondo il rito cattolico e il giorno seguente secondo quello anglicano, purtroppo solo dieci mesi più tardi la piccola moriva, assalita da improvvise e violente convulsioni.Fino alla morte di Carlo II nel 1685 la vita a corte per Maria Beatrice fu durissima per il disprezzo dei cortigiani che la chiamavano “la figlia del papa” o “la papista“, (alcuni rumors diffusero la voce che fosse un’agente del papa Clemente X) e le calunniarono anche, le infedeltà del marito che continuò la sua vita libertina, e la morte di quattro dei sei figli avuti dal matrimonio (un settimo si aggiungerà più tardi).
Alla morte di Carlo II e all’ascesa al trono di Giacomo II, il comportamento del marito cambiò e fra i due si stabilì un rapporto più affettuoso, grazie soprattutto al carattere mite della nuova regina. Non cambiò invece il rapporto coi protestanti che non potevano accettare un re e una regina cattolici.
Di fronte al pericolo insito nel perpetuarsi di una dinastia cattolica e assolutistica, le divergenze tra le fazioni parlamentari si appianarono, ed anche coloro che erano contrari, in linea di principio, a turbare l’ordine tradizionale della successione, con un intervento lesivo delle prerogative regie, mutarono la loro posizione e rivolsero un appello a Guglielmo d’Orange, poiché si recasse in Inghilterra. L’invito non giungeva inatteso: Stadthouder d’Olanda e marito di Maria Stuart, figlia maggiore di Giacomo, Guglielmo, che in precedenza era ricorso ad ogni mezzo per accreditarsi quale campione del protestantesimo, aveva già apprestato una flotta di 15.000 uomini, coi quali si accingeva a sbarcare sulle coste inglesi.
Nel febbraio del 1689 Guglielmo e Maria furono proclamati sovrani d’Inghilterra, ma prima di poter essere incoronati ufficialmente si impegnarono con una promessa solenne ad osservare la Dichiarazione dei diritti, un corpus di leggi che condannavano i tentativi di Giacomo II di sovvertire e distruggere la religione protestante, fornivano un fondamento giuridico ai poteri del parlamento e riaffermavano le tradizionali libertà del paese. Col loro giuramento, Guglielmo e Maria posero termine alla storia degli Stuart
Ne scaturì la gloriosa rivoluzione, la cacciata degli Stuart Maria Beatrice e Giacomo II furono costretti all’esilio e si stabilirono a St. Germain en Laye, presso Parigi. Maria Beatrice anche nell’esilio tenne un comportamento regale e nelle lettere ai parenti e governanti si firmò sempre secondo l’uso, ancora oggi praticato dalla regina Elisabetta di far seguire al nome la R maiuscola iniziale del termine latino regina.
Incoraggiò e appoggiò il proposito del marito di ritornare sul trono, instaurare il cattolicesimo e stabilire l’assolutismo monarchico. Alla morte di Giacomo II nel 1701 assunse la reggenza per il figlio Giacomo Francesco Edoardo cui il Re Sole riconobbe il titolo di “Giacomo III“: Maria Beatrice difese strenuamente i diritti del figlio e lo spronò a continuare l’azione, ormai anacronistica, del padre volta a riportare uno Stuart sul trono d’Inghilterra, convinta di essere portatrice di una missione divina.
A Giacomo III fu offerto il trono a condizione che, anche solo formalmente, si convertisse al protestantesimo, ma egli rifiutò con sdegno la proposta.
Maria Beatrice, ultima regina cattolica d’Inghilterra, ricordata dagli inglesi come “Mary of Modena“, morì il 7 maggio 1718 e fu sepolta accanto al marito.
Nel 1793, durante la rivoluzione francese, alcuni fanatici violarono le tombe dei due sovrani e dispersero i resti di entrambi.
Recentemente (2007) si è costituito a Modena un comitato (http://www.beatificazionemariabeatrice.it/) per ottenere dall’autorità ecclesiastica l’introduzione della causa di canonizzazione della regina Maria Beatrice, ravvisando nella vita della regina “tutti gli elementi che contraddistinguono la santità“, cioè una condotta di vita moralmente irreprensibile e inattaccabile e la virtù della rinuncia: “Maria Beatrice è stata capace di rinunciare a un trono in nome della propria Fede, seguendo il motto: “non si può barattare il Regno dei Cieli con un regno terreno, per quanto grande esso sia”. In un mondo dove il motto dominante è “fai ciò che vuoi” e dove ogni più piccola rinuncia a beni materiali sembra insopportabile, Maria Beatrice costituisce un esempio di vita, un vero e proprio faro“.
Maria Beatrice è poco conosciuta in Italia e nella sua stessa Modena. A parere del Comitato Maria Beatrice merita, per quello che è stato il suo ruolo e soprattutto per l’impeccabile stile di vita, di essere ricollocata nella sua giusta dimensione nella memoria dei modenesi e degli italiani.
I contemporanei dicono di lei che fu di bell’aspetto, gentile e regale nel portamento, affabile, sempre di buon umore e religiosissima per cui anche sotto gli abiti eleganti indossati portava un cilicio e prima di coricarsi pregava lungamente e devotamente in ginocchio sul pavimento freddo. Come tutti gli Estensi era colta e amante delle arti e della letteratura per cui si circondò di artisti e letterati.
Cattolica, in un paese protestante, perse la corona a causa della sua fede, conobbe la miseria e l’umiliazione ma, quando i suoi fedeli la supplicavano di convertirsi, anche solo formalmente, per risalire al trono e porre fine a tutte le avversità, caparbiamente rispondeva che assai sciocco sarebbe stato chi avesse accettato di barattare il Paradiso per una corona, l’eterna felicità per una gloria terrena, l’infinito con il finito…Assai lontana dai giorni nostri è la concezione di una fede talmente forte da far dimenticare ogni bene e ogni dolore terreno, di un amore talmente puro da dare tanto e non chiedere nulla, di una forza così eroica da sopportare i più tremendi dolori senza mai vacillare. E la persona che incarna in sé tutto ciò non può che apparirci come una irraggiungibile Santa, oppure come un esempio che a distanza di secoli, a noi che abbiamo perso ormai ogni contatto con il trascendente, che viviamo in una dimensione troppo materiale, ricca di benessere ma anche di inutili ansie ed effimere frustrazioni, può ancora insegnare moltissimo… Loredana Riggi